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Silvio Berlusconi è morto, mercoledì lutto nazionale e funerali di Stato

Dopo una lunga battaglia contro la leucemia mielomonocitica cronica, il leader azzurro è deceduto alle 9:30 di lunedì 12 giugno. Funerali di Stato mercoledì in Duomo a Milano. Il primo ricovero era avvenuto lo scorso 5 aprile ed era durato 45 giorni di cui 12 in terapia intensiva. Meloni: “Era uno degli uomini più influenti d’Italia”. Mattarella: “Ha segnato storia della Repubblica”. Putin: “Silvio persona cara e vero amico”. Il Papa: “Energico protagonista della vita politica”.

Nato nel 1936, figlio del boom, conservatore, fondamentalmente di destra, dalla personalità proteiforme, stregava per la sua immediata simpatia. Parlava come l’uomo della strada. Mostrava vicinanza alla gente comune. Voleva parlare alla casalinga che guardava i suoi programmi mentre rassettava casa. Gli perdonarono tutto. Le gaffe. La bulimia sessuale. L’inconcludenza politica.

E’ grazie alle televisioni Fininvest, con la fondazione di Canale 5 (dapprima Telemilano poi Canale 58) nel 1980, a cui si aggiunsero Italia Uno e Rete 4, che s’impone. Drive In e soprattutto Dallas, sottratta alla Rai, rompono con la pedagogia delle reti Rai. Perfeziona il suo talento con una capacità mostruosa di lavoro. Prima di altri colse i mutamenti profondi che si muovevano nelle viscere della società sfiancata dagli anni del terrorismo e dalla guerra fredda e bisognosa di nuovi miti. Rompe così una convenzione fondando un garnde centro. Un codice basato fino a quel momento sulle due culture, quella cattolica e quella comunista. Milano 2, il quartiere per ricchi, che sin dal 1974 offriva ai suoi abitanti la tv via cavo, TeleMilano (5.000 utenze, 20mila spettatori), era il frutto di questa intuizione. La tv amplificava così il desiderio di evasione dei nuovi ceti. Drive In, il format domenicale con le ragazze fast food, che sbarca su Italia Uno nel 1983, rappresentò il manifesto di una generazione di giovani, i paninari, che rifiutavano le ideologie e predicavano il disimpegno. “Corri a casa in tutta fretta che c’è un biscione che ti aspetta” il jingle con cui richiamare le masse.

Berlusconi non è mai stato alieno al potere, al contrario ne è stato da subito parte integrante. Si iscrisse alla P2, tessera 1816. Coltivò rapporti solidissimi con i socialisti di Bettino Craxi, allora stabilmente al governo in un disegno essenzialmente anticomunista. I democristiani lo guardavano con diffidenza, e quelli della sinistra dc, da Scalfaro a Mattarella, si riveleranno culturalmente i suoi più acerrimi avversari. Poi nel febbraio 1986, con l’acquisto del Milan, il suo capolavoro assoluto. Rifonda una società ormai ai margini del grande calcio, pesca un allenatore che viene dalla B, e che aveva fatto bene al Parma, privo di pedigree, Arrigo Sacchi, acquista tre top player olandesi, Van Basten, Gullit e Rijkaard, e inaugura un calcio champagne che dominerà il calcio europeo per vent’anni, dando una pedata definitiva alla nostra tradizione sparagnina e catenacciara.

Dominato dall’ossessione di fare colpo, trasforma la sua villa di Arcore in una specie di reggia. Berlusconi si propone come monarca assoluto, in competizione con Gianni Agnelli, che in quegli anni era il patron della Juventus, il vero re nell’immaginario collettivo.

Nel ’93 lo strappo. Tangentopoli, a cui le sue tv hanno inizialmente dato sostegno, sembra favorire le sinistre. Berlusconi si sente minacciato. A novembre, a Casalecchio Reno, alla vigilia delle elezioni a Roma, dice che tra i due candidati Francesco Rutelli e Gianfranco Fini alla fine voterebbe per il secondo. E’ la rottura, l’inizio di un’ascesa formidabile. Tre mesi dopo osa l’inosabile: fonda un partito personale, che chiama incredibilmente Forza Italia, e si presenta alle elezioni. Vince. E’ l’atto fondativo della seconda Repubblica. I vecchi partiti che hanno retto la Prima, la Dc, il Psi, il Pci, sono seppelliti. Promette un milione di posti di lavoro, un nuovo sogno. La promessa non viene mantenuta. Cade. Ma si rialza mostrando indubbie doti di combattente.

Quasi trent’anni dopo si fa fatica a trovare un’eredità. Berlusconi ha amministrato se stesso più che l’Italia e nemmeno gli scandali, i processi, l’incredibile numero di leggi ad personam e i conflitti d’interesse ne hanno scalfito l’immagine. E’ rimasto al centro del Palazzo per trent’anni.

il Silvio Berlusconi degli ultimi tempi era invecchiato e un po’ malinconico. E’ presto per ipotizzare chi incasserà l’eredità politica (Tajani?). Adesso è strano pensare che non ci sia più, perché è stato un personaggio romanzesco. Nel bene e nel male lo specchio di questo nostro Paese.

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